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martedì 10 dicembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Il tango

di Marco Celati - lunedì 01 febbraio 2016 ore 12:56

Lui è un ballerino, un ballerino di tango. Ma un tanghero era diventato in età matura, frequentando scuole e affinando cultura, gusto e sensibilità. Crescendo.

Da giovane ballava di tutto, dal liscio al twist, allo shake. Gli piaceva ballare, s'incontravano le ragazze, anzi era l'unico modo per incontrare le ragazze. A quel tempo la sera si passava nei bar con gli amici e i compagni della notte. Ma i bar erano locali per soli uomini. Invece al Dancing Garden River Blù delle Fornacette, che era una Casa del Popolo adibita a balera, e negli altri locali danzanti c'erano le ragazze; al Don Carlos di Chiesina Uzzanese, alle Panteraie e al Kursaal di Montecatini le signore, le donne. In qualche locale anche le "donnine": lo dicevano, ma forse era una leggenda metropolitana. Le ragazze gli piacevano, ma anche sentire la musica e andargli dietro: gli dava un senso di armonia, una sensazione di euforia che lo liberava dai freni inibitori e dall'innata timidezza. Così non si vergognava di muoversi in pista a ritmo di danza, anzi provava soddisfazione.

Aveva imparato da solo, frequentando i locali con gli amici. I locali del dopoguerra avevano nomi "esotici": c'era il Paradise, che bisognava pronunciare Paradais, e un altro che andava per la maggiore, si chiamava L'eremo del corsaro. Addirittura. Molti erano circoli popolari, anzi popolarissimi. In sala una palla di vetro sberluccicante, appesa sotto il lampadario, girando proiettava lucine colorate. Vi suonavano complessini locali o c'erano antesignani dee-jay che mettevano i dischi di vinile sul giradischi, amplificato dalle casse stereo. In uno di questi locali, sotto il palco c'era un cartello appeso con su scritto "Vietato chiedere il ballo prima del sòno", la toilette, o meglio il "camerino" era indicato da una freccia che portava all'aperto e c'erano solo la campagna e il cielo stellato.

Ci si metteva il vestito buono. Le ragazze stavano da una parte, sedute ai tavolini o sulle poltroncine rosse e si andava a chiedere loro il ballo, affrontando e vincendo la paura di un rifiuto: balli? No, sono presa, era spesso la risposta. Quando non era più greve: no, mi sudano le cosce. Un amico, Giuseppe, non si sa perché detto la Beba, era orgoglioso e l'amor proprio non gli faceva accettare di buon grado un diniego. Allora faceva finta di niente, affiancava la ragazza che aveva preso in considerazione poi, di scatto, per farsi notare meno possibile, si girava e, puntandole l'indice, le chiedeva: balli? Il più delle volte la ragazza, presa alla sprovvista, rispondeva di no. E la Beba proseguiva imperterrito, facendo il disinvolto. Ma il movimento non sfuggiva agli amici che lo sfottevano: Beba cosa fai, gli spari? Risate.Tanto non mi garbava, rispondeva. "Quando la volpe non arriva all’uva, ovviamente è l’acino a essere acerbo".

Mentre si ballava il liscio, se la ragazza ci stava, si stringeva accorciando sempre più le distanze e si faceva conoscenza. Le frasi da dire per approfondire l'approccio ed entrare in confidenza erano queste: ciao, come ti chiami? Io sono... E si diceva il nome. Sei di qui? E a questo punto subentrava una variante. Se lei rispondeva , si doveva dire: strano, come ho fatto a non notarti prima! Se invece lei rispondeva no, la risposta era: ecco perché non ti avevo notata prima! A volte funzionava e la ragazza si sentiva lusingata, a volte no. A fine serata, nella notte che era già quasi mattino, c'era il resoconto con gli amici, ragazzacci di paese, che fondamentalmente si riassumeva nella stringente domanda: hai beccato? Quasi sempre la risposta era negativa, in compenso qualcuno ci prese moglie.

Poi venne il tempo dei balli latino americani e caraibici, dei movimenti sexy: lambada, salsa, bachata, zumba e vaffanculo. Bisognava sapere, per non fare figuracce e allora si iscrisse ad una scuola di ballo. Si era avvicinato alla musicalità latina e più di tutti lo attirava, quasi in una fascinazione, il Tango. Gli piaceva il tango, il tango argentino, la sua storia, la sua musica, le sue movenze. Ma non è solo quello: il tango è poesia e filosofia, è un pensiero triste che si balla. È più che un ballo: è una poetica, un'interpretazione musicale, un modo di esprimersi in un linguaggio corporale col partner. Una concezione di vita. Patrimonio dell'Unesco. Ascoltava Carlos Gardel, El día que me quieras, Adriana Varela, Aisí se balia el Tango, le composizioni di Astor Piazzolla, il coinvolgente Libertango e lo struggente Adios Nonino, fino ai moderni Gotan Project, La Revancha del Tango. Adorava il suono del bandoneón. Girava per le milonghe, in alcune si seguiva il rito della mirada e del cabeceo: un gioco di occhi, di impercettibili sorrisi e movimenti della testa, di sguardi fugaci che invitano al ballo. Lei con un gesto affermativo del capo può accettare l'invito oppure può guardare in un’altra direzione, rifiutando discretamente la richiesta senza l'imbarazzo di dover dire di no ad un uomo che si presenta a pochi centimetri dal proprio tavolo. E nemmeno l'uomo sente il peso della richiesta e l'eventuale "offesa" del rifiuto. Le donne lo sanno fare con grazia e malizia, a volte invece gli uomini puntano, sono pesanti e insistenti.

Mano a mano che diventava più bravo, in ogni tanda cercava di esibirsi nei passi, nei movimenti e nelle figure classiche, più impegnative e avvolgenti. L'ocho adelante, l'ocho atràs, avanti, indietro e i passi più difficili. Alla scuola a cui si era iscritto aveva conosciuto Maria, una tanghera italo argentina. "Abbiamo l'aria di italiani d'Argentina". Maria è una valente ballerina, che scrive anche di tango su QuiNews, un giornale on line. Descrive la cultura e il costume del tango in intriganti racconti, scritti in uno stile veloce e incalzante come un ballo. "Il tango vive e vivrà in eterno anche senza di noi poveri mortali tangheri che siamo solo pedine nella scacchiera milonguera dove si gioca e si balla come fanti in una partita a scacchi senza possederne il re". È una sua frase. Spesso faceva coppia con lei in milonga nelle serate danzanti. Lei era più brava, ma nel tango ci si misura soprattutto con se stessi.

E così era cresciuto: da ragazzo di balera a tanghero di milonga. Nel mezzo ci stanno anni e cultura. Si era laureato, aveva messo su famiglia, una moglie a cui non interessava il ballo e figli. Aveva un lavoro fisso in Comune. La vita non gli aveva detto tanto male. Non si sa se era felice, nemmeno lui lo sapeva, nessuno lo sa. Sapeva solo una cosa: che, come i suoi amici un giorno la settimana avevano il calcetto e chissà se era solo calcetto, lui invece aveva il ballo, il tango ed era solo tango. A volte incontrava Maria, a volte no. E sulla pista dava il meglio di se'. Perché la vita è un tango.

Marco Celati

Pontedera, 29 Gennaio 2016

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"Il tango è un pensiero triste che si balla" è una frase famosa di Enrique Santos Discépolo. La sintesi efficace e mirabile della favola di Esopo, "La volpe e l'uva" è di Maria Caruso che scrive con questo nome su QuiNews, nella rubrica "Parole milonguere" ed è sua anche la riflessione sull'eternità del tango. Da lei e qua e là in rete ho saccheggiato le poche nozioni di tango descritte, sperando di averlo fatto correttamente. Mi scuso se non è stato così. "Italiani d'Argentina" è di Ivano Fossati. I ricordi delle balere sono di amici e sono travisati. Non so ballare, non ho mai saputo, non sono mai andato, mi sono sempre vergognato. Non so se mi sarebbe piaciuto farlo. Un tempo dicevo di no, che giocavo a calcio e sapevo fare cento palleggi, il calcio era per gli uomini. Però mi affascinava vedere le coppie danzanti, strette nei loro giri e guizzi di ballo: chissà se ero sincero. Si mente spesso, sopratutto a se stessi. "Todo, todo se olvida" cantava Gardel "florecerá la vida, no existirá el dolor". Di certo il tango mi piace, la sua musica, il suo ritmo, la sua filosofia. Ammiro e invidio i ballerini tangheri. Il tango mi attrae con la sua allegra e vitale tristezza: del tango sento la malinconia, ma non ne ho, purtroppo, la disinvoltura. 

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati