Pietro Gori Elbano
di Alessandro Canestrelli - martedì 10 gennaio 2023 ore 08:00
L’undici gennaio 1911 si spengeva a Portoferraio Pietro Gori. Un Gori che in gioventù amava firmare i suoi articoli e le sue testimonianze con lo pseudonimo di “Elbano”.
Egli utilizzò tale soprannome nelle prime corrispondenze politiche e di cronaca culturale pubblicate su ‘Il Corriere dell’Elba’, edito in Portoferraio il cui direttore e proprietario era l’avvocato Cesare Cestari fondatore e direttore di questo periodico per l’intero arco della vita. Questo dimostra una ragione profonda, il suo sentirsi Elbano, testimonianza che egli dichiarava apertamente e in più occasioni affermando la sua appartenenza ideale all’Elba, isola che aveva dato i natali a suo nonno paterno a Sant’Ilario in Campo, dove il nostro Pietro trascorse la gioventù.
Agli inizi della carriera politica, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, il giovane Gori, studente universitario nell’Ateneo pisano, giornalista, pubblicista e corrispondente di periodici socialisti, inviava alla redazione de ‘Il Corriere dell’Elba’ notizie sulla vita sociale, civile della parte occidentale dell’Elba anche in veste di Presidente e fondatore di una Società Operaia di Mutuo Soccorso in San Piero e Sant’Ilario in cui la componente di operai, cavatori di granito e scalpellini, costituiva la grande maggioranza.
L’Elba, che vide la nascita di un Gori politicamente impegnato e che fu il primo scenario della sua militanza, fu anche il luogo nel quale il nostro Elbano preferì e scelse di finire la sua vita, duramente colpito dalla tisi, malattia che ormai ne stava minando il fisico, fino a causargli una morte prematura. Luogo scelto come ritiro dal contesto politico ormai cambiato, soprattutto dopo che era stato duramente contestato dai suoi stessi compagni di fede. Tornò a risiedere all’Elba, in Portoferraio dove ebbe abitazione e studio nel palazzo detto ‘dei merli’, costruito dall’architetto Matas, già di proprietà dell’onorevole Del Buono e passato alla Banca Commerciale.
In quegli anni Pietro Gori non si risparmiò, pur cosciente delle condizioni di salute; egli corse per tutta Italia a difendere i suoi compagni socialisti e anarchici, noti o sconosciuti che fossero, leader o semplici militanti ma ancor più gente del popolo: operai, contadini, lavoratori. Continuò a viaggiare per i suoi interessi culturali, politici e umani e riportò grandi insegnamenti ed emozioni, soprattutto da un ultimo viaggio in terra d’Egitto e di Palestina. Di quell’esperienza egli cercò di trasmettere un ultimo messaggio con un’alta concezione sulla fratellanza universale e sul pacifismo attraverso una serie di conferenze nelle quali preferì aiutarsi con l’uso delle proiezioni fotografiche cercando di trasmettere il più possibile il suo sapere, le sue conclusioni filosofiche e culturali corredando le sue riflessioni con immagini da lui stesso realizzate. In questo ultimo periodo elbano la commistione di idealità politica e di sentimento umanitario, poggiata su una mente sempre brillante e attenta, gli dette una grande forza morale e lo portò ad una sorta di originale apprezzamento del sentimento cristiano, da lui vissuto in senso strettamente laico, che gli fece esprimere queste considerazioni: “Io per esempio ho sempre benedetto la corrente luminosa del giovane Galileo, l’anarchico dalla camicia rossa di diciotto secoli or sono. Da allora perciò Egli, Gesù, primo apportatore della buona novella ai poveri e agli afflitti, parla ancora attraverso i secoli”.
Nell’ultima parte della vita, rinunciando sempre più al dogmatismo politico e perdendo coscientemente la ‘fede’ sull’anarchismo militante, finì col riaccostarsi idealmente alla figura del nonno Pietro, che aveva ricevuto dal Bonaparte l’onorificenza di ‘Sant’Elena’ assieme ad altri settantacinque Elbani; altrettanto si riavvicinò alla figura del padre, combattente eroico e valoroso delle guerre dell’Indipendenza nazionale, attore del Risorgimento d’Italia e dal quale aveva ricevuto un’educazione e un esempio di vita intrise di idealismo, dì senso eroico, di romanticismo. Sulla base di questa educazione familiare, nell’emulazione di queste due eroiche figure, egli si era gettato nella vita con coerenza e originalità, con brillantezza ed entusiasmo, umanamente generoso sempre e comunque.
Perseguitato e inseguito, scacciato di terra in terra, vide e visitò gran parte del mondo, si addentrò in luoghi aspri e lontani; fu accolto, acclamato e abbracciato da migliaia di persone, viaggiò ininterrottamente di conferenza in conferenza, esprimendosi in italiano, francese, inglese e spagnolo, terminando con canzoni scritte, composte e da lui stesso eseguite, accompagnato dalla sua chitarra.
Alessandro Canestrelli